Le simpatiche burle del teatro di avanguardia

Pare vada di moda la simpatica burla. Si tratta comunque di idee innovative. Siccome chi ha da dire qualcosa non lo lasciano parlare, succede che quelli che, per un motivo o per l’altro possono esprimersi, manchino dell’ingrediente fondamentale. Eccoli quindi a fare riunioni su riunioni scambiandosi vecchie idee stantie riverniciate, oppure soli in casa a spulciare vecchi video di performer degli anni trenta, in cerca di un’idea qualsiasi o di qualcosa, possibilmente intelligente, da dire. E poi, boom, eccoli sfornare: sirene trans in una fontana, interviste finte a finti cantanti che incidono finti dischi, finte donne che sono finti uomini con finte storie di finzione. Tutto è finto. L’abbiamo capito. Che idea geniale!

Dovrebbero morire

Mio figlio minore odia studiare. Con tutte le sue forze cerca di non trovarsi mai in situazioni che prevedano un libro, di qualsiasi genere, sotto al suo naso. Io ho la casa piena di libri e amo così tanto leggere che ultimamente i miei occhi mi hanno chiesto una tregua facendosi venire una congiuntivite che mi fa somigliare a un gatto cisposo. Mi rendo perfettamente conto di non potere essere io l’esempio per mio figlio, quando avevo la sua età non prendevo di certo come esempio mia madre o mio padre, mi affascinavano i maledetti, mi inventavo storie decadenti e pensavo che non ci fosse niente di più romantico della coppia di Christiana F. Noi i ragazzi dello zoo di Berlino, roba che se mio padre l’avesse saputo mi avrebbe chiusa in una comune ancora prima di essermi fatta una dose di zucchero. Mio figlio odia studiare e dopo giorni, mesi e anni passati a costringerlo dietro a una scrivania quel poco che bastava per prendere dei maledetti cinque e sei, io ora, conscia di eresia, getto la spugna e lo faccio con onore. Non lo obbligo più, lascio che il destino lo guidi verso la sua vita e si occupi di dargli indizi per la giusta strada. L’importante è che continui a desiderare la vita. Ogni anno in Italia quattrocento adolescenti in età di scuola si tolgono la vita. Un giorno mio figlio mi ha detto: “A scuola mi annoio così tanto che a volte desidero morire”, e allora mi sono detta che, si mio figlio non studia volentieri, ma anche che forse chi gli insegna emana noia mortale, emana voglia di morte. Questo paese non ama i ragazzi giovani, non li ama perché loro vogliono la vita e siccome la vita vera non prevede solo voti, umiliazioni, noia, soldi, consumo, banche e linee telefoniche, questo bel paese chiamato Italia tira calci nei denti alla loro voglia di vivere. Come lo fa? Con il metodo più terribile da sempre: ignorandoli, ignorando i loro sentimenti, le loro energie, la loro voglia di gioco e di curiosità. Datemi un professore che ama i ragazzi e i loro sogni e io gli farò un monumento!

Ho chiesto all’altro mio figlio, quello grande: “Ma secondo te che cosa si può fare per questo problema?” E lui mi ha risposto: “Mamma, l’Italia è un paese con idee vecchie dei primi dell’ottocento, la maggior parte della gente pensa che tutto sia illimitato come quando vivevano loro, l’Italia è un paese di vecchi”. E allora che cosa si potrebbe fare? Ho chiesto disperata. E lui mi ha risposto: “Dovrebbero morire tutti i vecchi”.

Pensiamo a tutto noi

“Noi di ……. mettiamo in contatto chi ama scoprire le bellezze del territorio italiano organizzando attività da vivere insieme. Pensiamo a tutto noi”

FA34BDE1-1BA2-4946-B045-5A4DC24D0015Ultimamente quando sbircio Facebook mi appare spessissimo la pubblicità di un sito d’incontri. Non un sito di incontri per fare incontrare una donna con un uomo, ma un sito per incontrare gruppi organizzati di gente che poi “organizzano attività da vivere insieme”. Dice proprio così, e aggiunge “Pensiamo a tutto noi”. L’algoritmo delle mie nulle attività deve aver pensato che io sono una donna sola che vuole conoscere gente. Una donna sola che vuole unirsi a un gruppo di amici. Una donna sola che vuole unirsi a un gruppo di amici per “organizzare” tutti insieme delle attività in giro per il territorio italiano. Cioè, questo significa che, esistono veramente gruppi di persone che quasi non si conoscono che se ne vanno in giro a perdere tempo per il territorio italiano. Se ne vanno in lungo e in largo su dei pullman, suppongo, a sedersi di fianco a sconosciuti che offrono panini, mentre viaggiano per l’Italia. I panini li preparano a casa la mattina presto, in genere ci mettono salumi e formaggio o tonno e pomodoro, poi raggiungono delle persone che non sanno nemmeno che faccia abbiano e tutti “insieme” visitano monasteri o paesini. A volte, come attività, noleggiano delle carrozzelle biposto con la tendina per divertirsi ancora di più e conoscere meglio il prescelto o la prescelta che siederà vicino a loro. Si sorridono facendo vedere i ponti e le capsule dei denti finti e tu senti il loro odore, quello della donna matura con il rossetto lucido sulla faccia sudata, quello del deodorante per uomo del giovanotto con la faccia cavallina e su tutto l’odore dei panini.

 

L’abbiamo fatto fino quasi a morire

Quando arrivava la primavera mia madre si rendeva conto che io e mia sorella non avevamo più niente da metterci. I pochi pantaloni erano lisi e bucati oppure non ci stavamo più dentro, le magliette erano state lavate così tante volte che ormai si erano tutte scolorite, le gonne no, non le avevamo le gonne e nemmeno i vestitini. Fatto sta che bisognava fare quella cosa che tutte noi odiavamo fare: andare in un negozio di vestiti, scegliere qualcosa e comprare. E così si partiva, con mia madre cupa, alla volta dell’unico negozio del paese. Il negozio si chiamava Martelli, me lo ricordo bene, c’era un salone con una parte rialzata e dentro c’erano tanti vestiti appesi alle grucce. Mia madre era cupa perché sapeva già come sarebbe andata a finire. E infatti finiva sempre allo stesso modo, mia madre cercava di tenerci calme e di consigliarci pantaloni atroci e magliette atroci, mentre io e mia sorella ridevamo come due dementi fino a rotolarci per terra. Non esagero, ci rotolavamo per terra dal ridere, ci mancava il fiato dal ridere, ci veniva il mal di pancia, non riuscivamo nemmeno a rispondere alla commessa che ci guardava incredula, non servivano a niente le preghiere di madre “Alzatevi, su dai, ma che figura mi fate fare, ma perché fate così?”, noi ridevamo fino alla fine, cioè mentre mia madre pagava alla cassa, noi stavamo ancora ridendo, e poi anche in macchina mentre tornavamo a casa. Poi basta, a casa non ridevamo più. Mia madre usciva dalla macchina dicendo che eravamo due deficienti e che si vergognava da morire e che non dovevamo farlo mai più. Ma noi ogni volta lo facevamo ancora. Non lo so perché. A me e mia sorella ci veniva sempre così tanto da ridere che non capivamo più niente. Una volta ci hanno sbattuto fuori da una mostra di quadri perché c’era molto silenzio, noi avevamo cominciato a ridere un po’ per un quadro che si intitolava “Il cagnolino”, era un paesaggio immenso dove in un angolo minuscolo c’era un cane microscopico e a noi aveva fatto tanto ridere e così all’inizio abbiamo cercato di trattenerci, ma più cercavamo di trattenere il ridere più ci scendevano le lacrime e ci faceva male la pancia, allora abbiamo guardato un altro quadro con due mani giunte che pregavano e lì proprio non c’è stato più niente da fare, siamo scoppiate a ridere forte e ci appoggiavamo al muro tenendoci la pancia con le braccia, con la faccia rossa piena di lacrime. E così il custode della mostra ci ha detto di andarcene. Fuori abbiamo continuato a ridere fino a casa. Poi in casa non ridevamo più. Una volta l’abbiamo fatto fino quasi a morire, anche perché c’era mio padre quella volta e noi avevamo tanta paura quando lui si arrabbiava, ma non c’era niente da fare, quando cominciavamo a ridere potevamo sfidare la morte, quella volta eravamo nella sala molto affollata di un famoso ristorante e siccome era la riunione dei commercianti ad un certo punto il presidente ha preso in mano il microfono per parlare, tutti si sono zittiti e noi abbiamo cominciato a ridere.

Alto tradimento

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“Maledetto schifoso uomo orribile”.

“Ma ancora stai pensando a quello dell’immobiliare? Basta, non pensarci più!” ha detto mia sorella per non sentirmi più bofonchiare e sospirare in giro per casa. Ma come si fa a non pensare più quando ti hanno ferito l’anima? Perché non si tratta solo del fatto che, come al solito, chi vuole spillare quattrini se ne frega della tua anima, si tratta qui di un abuso sulla tua immaginazione di vita. Cercherò di spiegarmi meglio, tempo fa abbiamo visto un annuncio per una casa di campagna molto bella e dopo tanto cercare abbiamo pensato che potesse essere una buona possibilità per noi. Era una vecchia casa, ben ristrutturata, con tanto verde attorno, e al resto ci avremmo pensato noi. E così abbiamo fissato un appuntamento per vederla e abbiamo iniziato a sognare e a progettare i dettagli, gli angoli, le stanze, la nostra vita. Tanto più che il “signore” al telefono sembrava molto gentile e molto propenso a sostenere i nostri sogni. Ma come sempre, quando tutto sembra troppo bello per essere vero, vuol dire che non è vero. Quando siamo arrivati per vedere la bella casa il “signore gentile” si è rivelato un vago truffatore che ci ha scorrazzato in giro per una collina stupenda facendoci vedere prima un rudere decrepito in cemento e di seguito: una casa finta pietra in plastica dei primi anni ottanta, poi una casetta per Hobbit alta un metro e venti ed infine un ammasso di mattoni con il tetto sfondato dove una perplessa pastora stava facendo brucare le sue pecore.

Avremmo dovuto insultarlo si, perché chiaramente la fotografia sull’annuncio era uno specchietto per le allodole, o per noi fessi che ci siamo cascati perdendo tempo e buon umore, ma non l’abbiamo fatto. Siamo ritornati a casa con le orecchie basse, storditi dalle chiacchiere insensate di quel cretino. Ci ha detto che gli dispiaceva perché lui era sicurissimo che avremmo preso la casa di plastica anni ottanta che sembrava fatta apposta per noi. Ed è stata quella frase che mi ha gettato nello sconforto più totale. L’idea che la testa (evidentemente) bacata di uno sconosciuto abbia avuto la libertà di prendere me e la mia vita e spostarle in una brutta casa in finta pietra, orrenda, costruita male, piena di muffa e cacche di piccioni e finti archi che nemmeno un geometra ubriaco di sedici anni avrebbe mai nemmeno pensato di progettare; ecco quella cosa li io l’ho vissuta come un alto tradimento. Mi sono immaginata li dentro, con il vento che soffiava dalla collina, sola, in quella brutta casa finta, poco prima di farla finita. Spazzati via i sogni, i bei progetti, gli amici, le cose da fare insieme, le case di una volta, l’amore e il calore con cui ci si prende cura di ogni angolo, dal camino alle piante davanti casa con i gatti che ci dormono sotto. Io spero proprio che a nessuna persona buona succeda mai niente del genere, che nessuno mai prenda voi e la vostra vita e metta tutto dentro una brutta casa di plastica costruita senza amore all’angolo di una curva.

Il libro

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Questo mondo è inabitabile: ecco perché bisogna fuggire nell’altro. Ma la porta è chiusa. Quanto bisogna bussare prima che si apra! Per entrare davvero, per non restare sulla soglia, bisogna cessare di essere un animale sociale”                            Simone Weil

Il libro “Trilogia della ragione” è nato inizialmente dal desiderio di testimoniare un percorso teatrale attorno a tre donne eccezionali: Anne Sexton, Emily Dickinson e Simone Weil.

Il risultato è un’opera a sé che si interroga sul pensiero di queste donne poderose rispetto al nostro tempo. Che cosa accomuna queste tre pensatrici? Che cosa ci hanno lasciato?

Questo progetto ha avuto inizio tanti anni fa con un lavoro teatrale su Cristina Campo.

I tre spettacoli che fanno parte di questa Trilogia sono solo le mete evidenti di un lungo percorso, durante il quale le regole cambiavano continuamente e le svariate prove hanno arricchito una visione che va ben oltre quella che ho potuto condividere con il pubblico.

Questo libro non ha pretese accademiche o descrittive del processo di questo lavoro, ma vuole essere la testimonianza poetica del mondo del quale queste tre donne erano esperte sovrane.

I testi di Milena Costanzo e le foto di Paola Codeluppi dialogano tra loro per accennare ad un qualcosa che, per sua natura, vuole comunque rimanere celato. Ad ognuno il compito di scoprirlo.

Presentazione al pubblico

E’ possibile organizzare una presentazione del libro con il pubblico.

Più che di una presentazione, si tratta di un incontro, per ascoltare, ma anche per parlare, per scambiarci i nostri pensieri e le nostre osservazioni sul come vivere attivamente in un mondo “inabitabile”. Il confronto crea sempre belle domande attorno alle quali meditare con calma, soprattutto se gli spunti ci vengono dati da grandi opere. Un’ora di quieta e poetica quiete.

Per chi fosse interessato al libro o alle presentazioni: org.costanzo@gmail.com

 

Cronache dalla nota piattaforma

Una lettura mediocre.

Una foto mediocre.

Qualche mossetta mediocre.

Pensieri mediocri.

E il mio cane si annoia e il mio gatto si annoia, si annoiano le formiche, i fiori, l’erba, le libellule, le mosche, i moscerini, le pietre, le montagne si annoiano e i laghi, le nuvole, i neonati sbadigliano, la zuccheriera si annoia, il bicchiere, i pennelli, i vasetti di marmellata, le briciole di pane, la polvere, le ragnatele con il loro ragno, la carta di caramella sotto il divano si annoia, si annoia persino una bambina con la bambola in braccio, la bella musica che suona nell’altra stanza e la luce che entra si annoia così tanto da andar giù e così si fa sera e tra poco è l’ora di andare a letto dove i sogni, almeno loro, non vedono e non ascoltano tutte quelle cose mediocri.

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Eravamo già un disastro

Vivevamo camminando con i nostri bei piedini sulle rovine disastrate di un disastro annunciato, solo che non le volevamo vedere. Senza avere mai tempo per niente e per nessuno, nemmeno per i figli, smadonnando in fila seduti su macchine assurde, grosse e brutte. Convinti sostenitori della città dell’anno, con il mal di gola perenne, l’ansia perenne, inadeguatezze perenni e un elenco di valori talmente infimi e bassi che in confronto quello delle formiche e delle api sembra scritto da Gesù in persona. Talmente soli e bisognosi d’attenzioni e d’amore da controllare quel cavolo di telefono ogni cinque minuti. Terrorizzati dal crollo, che poi giustamente è arrivato. Perché c’è un limite al dolore rimosso, il dolore che non si vuole guardare in faccia si trasforma in un’altra faccia appiccicata sopra quella di prima. Questa città di facce tutte brutte, tranne quelle dei vecchi e dei bambini, ebbene questa città era come il Mar Marcio.